Interview

SEX AND THE CITY

PENSARE OLTRE I CONFINI: PROGETTARE PER L’INCLUSIVITÀ E LA LIBERTÀ DELLE PERSONE

L*OSMONAUTA #0004

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"Credo che sia fondamentale comprendere come gli spazi pubblici possano essere progettati per accogliere vite diverse"

Interview :

SEX AND THE CITY

Architects

Potreste raccontarci un po’ della vostra storia? Qual è stato il vostro percorso professionale e personale? Come è nata la vostra collaborazione e come vi siete incontrate?

Azzurra - Ci siamo incontrate per la prima volta nel 2019, durante un viaggio da Milano a Urbino per visitare le architetture di Giancarlo De Carlo. Io partecipavo per i crediti formativi dell’Ordine degli Architetti, presso cui Florencia lavorava all’epoca. Entrambe stavamo attraversando un momento di irrequietezza professionale e avevamo bisogno di un cambiamento. Quel viaggio è stato il detonatore che ci ha portate a condividere le nostre urgenze e desideri, e da lì è nata l’idea di partecipare insieme a qualche bando, per dare una scossa alle nostre vite.

Una volta tornate, abbiamo partecipato a una call dell’Urban Center del Comune di Milano, che chiedeva progetti di ricerca sulla città. Abbiamo proposto di osservare Milano da una prospettiva di genere, un tema a cui tenevo particolarmente, dato il mio coinvolgimento nei movimenti femministi. Mi chiedevo perché non si potesse progettare città che riflettessero ciò che emerge dai movimenti sociali e dalle piazze, e così abbiamo deciso di avviare questa avventura, che poi ha cambiato le nostre vite.

Abbiamo vinto quel bando e svolto la ricerca su Milano, da cui è nato l’Atlante di genere di Milano. Successivamente, la seconda parte della ricerca si è trasformata nella nostra seconda pubblicazione, Libere, non coraggiose. Le donne e la paura nello spazio pubblico.  Da lì si sono aperte molte opportunità, con progetti partecipativi, divulgativi ed educativi, grazie anche al fatto che il nostro lavoro sollevava questioni importanti per l’amministrazione pubblica e forniva strumenti per affrontarle. Terminata quella prima ricerca, abbiamo sentito l’esigenza di formalizzarci, così nel febbraio 2022 ci siamo costituite come associazione di promozione sociale. 

Questa forma ci permette di partecipare a bandi, ricevere fondi e sviluppare nuovi progetti, e rappresenta il modo con cui continuiamo a portare avanti le nostre attività.

La vostra ricerca tocca temi molto delicati e a volte divisivi. Quali esperienze o riflessioni avete maturato riguardo all’impatto di questi argomenti nel contesto professionale, come è stato accolto il vostro lavoro dai colleghi architetti?

Florencia - Ci capita spesso di offrire proposte formative per l’Ordine degli Architetti di Milano e anche per altri, come a Bologna e Bergamo, e per lo più hanno un buon riscontro da parte del pubblico. Abbiamo collaborato con amministrazioni pubbliche e ci siamo un po’ allontanate dalla pratica tradizionale dell’architettura.
Il nostro lavoro si concentra principalmente sulla ricerca, che svolgiamo in modo autonomo e indipendente, questa libertà è fondamentale per noi. 
La ricerca scientifica approfondita è essenziale per evitare che il nostro lavoro diventi puramente ideologico.

Da una parte, facciamo ricerca, e dall’altra, traduciamo questa ricerca in progetti concreti, spesso legati alla partecipazione cittadina su questioni problematiche. Non siamo ancora arrivate al progetto dello spazio, anche se è uno dei nostri obiettivi. La nostra attività si confronta principalmente con gli ordini professionali, e per il momento sta suscitando interesse.

Azzurra - Abbiamo avviato un nuovo corso sull’urbanistica di genere, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Bergamo. Anche questo corso sta ricevendo un buon riscontro. L’interesse non è sempre il primo obiettivo, ma rappresenta comunque una leva importante. È uno spazio possibile.

Avete iniziato il vostro progetto nel 2019. Oggi avete una metodologia consolidata per la raccolta e l’elaborazione dei dati, ma all’inizio il vostro approccio era diverso? Come siete arrivate a sviluppare un metodo efficace, considerando che, raccogliere dati implica confrontarsi con molte difficoltà, collaborare con varie realtà e organizzare tutto in maniera stratificata?

Azzurra - Forse una cosa che non abbiamo ancora detto è che entrambe veniamo da un percorso accademico. Per anni abbiamo cercato di entrare nel mondo accademico, ma a un certo punto, su quell’autobus verso Urbino, ci siamo rese conto di essere ormai stanche di certe dinamiche piuttosto autoreferenziali. Abbiamo entrambe fatto un dottorato e sappiamo cosa significa fare ricerca scientifica. La questione, nel nostro progetto, è come renderla accessibile alle persone. Uno dei grandi limiti dell’accademia, dal nostro punto di vista, è che spesso parla solo a se stessa, con una forte resistenza verso la divulgazione, che in alcuni ambienti è vista come qualcosa di svalutante, talvolta persino inaccettabile. Ma questo porta a parlare solo a un circolo ristretto di persone, ed è un limite enorme.

Perciò, quello che cerchiamo di fare è mantenere un rigore scientifico nei contenuti, ma con un linguaggio che possa essere compreso da quante più persone possibili: dal cittadino comune al professionista, fino all’amministratore pubblico. 

Quindi, il nostro lavoro è divulgativo nell’espressione, ma scientifico nei contenuti: 

essenzialmente si tratta di un lavoro di traduzione di linguaggio affinchè la lettura delle dinamiche urbane legate al genere siano leggibili e comprensibili a quante più persone possibile.

Florencia - È importante che chi ci ascolta capisca cosa stiamo facendo, e per farlo bisogna adattare il linguaggio all’ambiente. Se parliamo con l’amministrazione pubblica, dobbiamo renderci comprensibili e far capire loro perché il nostro lavoro è rilevante. In un contesto femminista o transfemminista, invece, usiamo un linguaggio diverso. Quando pubblichiamo un libro, dobbiamo pensare a chi è rivolto, perché il target deve essere chiaro. Per noi, la chiarezza è fondamentale: se non riesci a spiegare bene quello che fai, forse c’è qualcosa che non va alla base.

Siamo felici di poter sviluppare la nostra ricerca come vogliamo, con gli output che scegliamo. Questo può significare libri, pubblicazioni scientifiche, articoli settimanali, podcast o altro. Questa libertà ci permette di esprimere ciò che vogliamo nel modo che riteniamo più opportuno.

Quando avete iniziato, c’era già una sensibilità riguardo al tema di progettare le città tenendo in considerazione le tematiche di genere? Oggi, secondo voi, questa sensibilità è cambiata considerando anche i cambiamenti sociali e le nuove modalità di relazione?

Azzurra - In Italia, a partire dagli anni ‘90, c’è stata un’attenzione crescente su temi legati alla conciliazione vita-lavoro, grazie soprattutto all’impegno accademico che, per certi versi, si è fatto interprete di queste questioni. Sono stati sviluppati strumenti, come il Piano dei Tempi della città, ma le trasformazioni sono state limitate e di fatto non sono rimaste tracce sensibili di quello sforzo nel funzionamento effettivo della città. Negli ultimi anni, però, stiamo assistendo a un rinnovato interesse, alimentato da libri come Feminist City di Leslie Kern e Invisibili di Caroline Criado Perez, che hanno portato queste tematiche all’attenzione di un pubblico più ampio. Bologna si sta distinguendo in questo contesto, forse è la città in Italia che più spende energia su questo fronte soprattutto grazie alla vicesindaca Emily Clancy, che ha un’agenda molto chiara rispetto alle priorità su questi argomenti e quindi mette a lavoro la squadra amministrativa affinché si possano tradurre in politiche. In questo momento stiamo giusto collaborando a realizzare un Atlante di Bologna. Milano - pur avendo già sviluppato l’Atlante di genere - sta cercando di seguire il passo, anche se con più difficoltà.

Florencia - Stiamo sviluppando un Atlante di genere anche con la città di Parma. Ci sono buone intenzioni da parte di alcune amministrazioni, ma c’è ancora molto da fare. A differenza di Bologna, che ha iniziato ad implementare politiche strutturali, o di Milano, che ha lanciato progetti temporanei, Parma sta aprendo ora alla possibilità di applicare una prospettiva di genere alla città. 

In generale, comunque, per affrontare seriamente il tema di genere, sarebbe necessario modificare l’organizzazione interna delle amministrazioni pubbliche.

Parlando delle nuove generazioni, vi viene da pensare che ci sia un cambiamento rispetto al passato, cioè credo che oggi si stia sviluppando una crescente attenzione e un forte desiderio nel dare visibilità alle questioni legate alle minoranze e alle discriminazioni di genere. Sul campo, notate una partecipazione diversa, un maggiore interesse rispetto al passato?

Florencia - In realtà credo non valga per tutt*. Sicuramente il femminismo si sta ampliando, c’è un maggiore interesse su determinate questioni, e oggi l’ottica intersezionale è imprescindibile in questo contesto, cosa che prima non era. 
Tuttavia, resta il fatto che viviamo in una bolla e il Paese nel suo insieme non sembra avere fretta di affrontare queste tematiche. 
Nelle amministrazioni pubbliche ci sono alcune persone giovani, soprattutto donne, che hanno più energia su questi argomenti. Sono meno disilluse, perché con l’esperienza si tende a perdere l’entusiasmo. Quando hai 30 anni, sei ancora caric* e pien* di buone intenzioni.
A Udine, ad esempio, abbiamo fatto un workshop promosso  dall’Assessora alle Pari Opportunità, Arianna Facchini, molto giovane ed entusiasta. 
Poi non c’è stato un seguito, probabilmente perché l’amministrazione in generale non era pienamente interessata a questi temi, ma anche perché le tempistiche sono sempre piuttosto lunghe. A Milano, collaboriamo con Gaia Romani, Assessora alla Partecipazione, che organizza diverse iniziative, anche legate al Piano Quartieri.Ci sono delle persone giovani che hanno voglia, per fare la differenza bisogna comunque sentirsi liber*, a volte essere più idealist* che politic*, e non sempre queste cose riescono a coesistere.

Mi piacerebbe che ci raccontaste un po’ di più su Bologna. Prima accennavate ad un cambiamento che sta diventando sempre più infrastrutturale, che vada oltre i piccoli progetti. Sembra che si tratti di un vero cambio di prospettiva e di approccio, un cambio culturale. Nella città di Bologna, per esempio, quali sono i segnali concreti di questo cambiamento che state osservando? Non mi riferisco tanto alla singola persona, perché la persona illuminata da sola non costituisce un’infrastruttura o un cambiamento di sistema. Piuttosto, quali dinamiche collettive o iniziative stanno contribuendo a trasformare la città in questo senso?

Azzurra - Secondo me a Bologna ci sono condizioni diverse rispetto ad altre città. 
Da una parte c’è la vicesindaca che mostra una forte urgenza nell’affrontare certi temi, e questo significa che sta mettendo in moto gli uffici dell’amministrazione pubblica. 
È una situazione completamente diversa rispetto a Milano, dove eravamo noi a dover bussare alle porte degli uffici senza ricevere risposte, arrangiandoci da sole. 

A Bologna - così come a Parma -, invece, lavoriamo insieme agli uffici pubblici, che ci forniscono dati e lavorano insieme a noi alla redazione dell’Atlante.[1]

L’impatto di questo approccio collaborativo si nota subito. Inoltre, Bologna ha un tessuto di cittadinanza attiva molto forte, con reti radicate e organizzazioni ben integrate. Per esempio, in questo progetto stiamo collaborando con Period Think Tank, un’associazione esperta nella raccolta di dati disaggregati per genere. Loro si occupano di sensibilizzare le amministrazioni pubbliche affinché raccolgano i dati con questo tipo di approccio, e conoscono molto bene il contesto bolognese. In questo lavoro noi portiamo la metodologia dell’Atlante, che sistematizza le questioni, mentre loro hanno un forte legame con il territorio e gestiscono la parte relativa ai dati. Unendo tutto questo al forte interesse del Comune, queste tre componenti - amministrazione pubblica, cittadinanza attiva e la volontà politica – creano un contesto potenzialmente molto favorevole. Poi dovremo vedere come si evolverà, ma sulla carta sembra funzionare.

Florencia - Una cosa che aggiungerei sulla città di Bologna è che le amministrazioni pubbliche, solitamente, non trattano la questione notturna come un tema specifico, quindi non so se la delega alla notte sia una scelta strutturale, ma Clancy ha deciso di averla. In Italia, quasi nessun amministratore pubblico ha questa delega, il tema della notte è per lo più trattato con superficialità, mentre riteniamo, grazie all’esperienza sviluppata nelle nostre ricerche, che sia molto importante. 

C’è una questione di genere rilevante legata alla notte: la percezione di sicurezza e la necessità di conciliare interessi diversi, come quelli di anzian*, giovani e del modo in cui si vive la città. 

Rivitalizzare la città di notte pone molte sfide e opportunità. Il Comune di Bologna ha anche commissionato alla Banca Europea degli Investimenti uno studio per sistematizzare una serie di informazioni con una prospettiva di genere, utile per orientare politiche su temi come l’abitare o la mobilità. Un altro esempio è il progetto “Bologna 30”, che a tutti gli effetti è una politica di genere, poiché la mobilità dolce risponde molto meglio ai bisogni delle donne rispetto a quelli degli uomini, considerato come organizzano le loro giornate e il lavoro di cura. A Bologna sono iniziative che potrebbero svanire con il termine di questo mandato, ma stanno comunque cambiando la struttura della città. Inoltre, sempre Clancy, come assessorato alle pari opportunità collabora molto con il terzo settore, soprattutto quello femminista e attivista. Questo crea un dialogo tra l’amministrazione pubblica e un settore che di solito non ha voce, e questa connessione sta portando a una trasformazione concreta nel modo di amministrare e pensare la città.

Sarebbe interessante capire se questo cambiamento culturale si manterrà davvero nel momento in cui ci sarà un cambiamento dell’assetto politico attuale. In altre parole, spesso con un cambio di amministrazione, le priorità possono cambiare, e resta da vedere se c’è davvero un progresso continuo radicato. Cosa ne pensate di questo limite nel vedere un cambiamento culturale stabile e duraturo?

Florencia - Quello è il mondo in cui viviamo. Pensa a Barcellona: per otto anni c’è stata Ada Colau, che ha trasformato completamente la struttura amministrativa della città. Ora però, non sappiamo come evolveranno le cose. Non è certo se ci sarà ancora un Dipartimento di gender mainstreaming che coordina tutti gli altri. Potrebbe sempre arrivare una folata di vento conservatore che riporta tutto alla versione precedente.

Il vostro lavoro parte da un approccio pratico, giusto? Come si articola, il vostro metodo di lavoro? Qual è il vostro approccio nel cercare di capire quale sia il consiglio o l’azione giusta da intraprendere per rispondere alle esigenze delle minoranze all’interno di un contesto collettivo?

Azzurra - Ci sono diverse fasi e strumenti coinvolti. Ad esempio, la raccolta dati non è infinita, è un momento specifico nel tempo. Prendo come esempio l’Atlante di Milano, ma lo stesso si ripete in altri progetti. 
In quel caso, diffondiamo un questionario per raccogliere dati principalmente quantitativi. 
Lo stesso è successo con la ricerca Step Up sull’insicurezza nell’esperienza del camminare delle donne a Milano, sviluppata lo scorso anno. La raccolta di questi dati offre un quadro quantitativo che permette di creare una cornice di riferimento. 

Tuttavia, all’interno di questi dati, l’esperienza personale si perde. Percentuali basse, come quelle di persone con disabilità o altre soggettività che non emergono in modo rilevante nei numeri, scompaiono completamente perché magari rappresentano lo 0,1%. Dal punto di vista quantitativo non sono significative, ma per loro fa una grande differenza camminare in una città accogliente o in una respingente dal punto di vista dell’accessibilità.

Per comprendere meglio queste situazioni, spesso si affiancano analisi qualitative, con focus group o workshop mirati su quei gruppi specifici, in modo che le loro voci siano ascoltate. 
È una combinazione di strumenti, direi. Il quantitativo fornisce la cornice, i macro-riferimenti, mentre il qualitativo è un lavoro di cesello. Questo approccio può includere workshop di vario tipo, a seconda del target: con i bambini, ad esempio, utilizziamo un linguaggio diverso, e a volte questi laboratori sfiorano l’arte partecipativa, ibridando le categorie. 

Partiamo dall’urbanistica, ma intrecciamo sociologia, arte della partecipazione, e i linguaggi si mescolano. È proprio questo l’aspetto interessante.

All’inizio della nostra conversazione avete citato alcuni progetti che state concretamente sviluppando in alcune città, utilizzando strumenti che vi servono come mezzi di analisi e comprensione della situazione attuale. Questi strumenti possono essere anche mezzi per interpretare scenari possibili e futuri? Cosa rappresenta il progetto per voi in questo contesto?

Florencia - Credo che un aspetto centrale sia la possibilità di lavorare concretamente sulla città. Prendendo esempio da Vienna, che ha sviluppato oltre 60 progetti pilota in 30 anni, possiamo vedere come questi abbiano trasformato il volto urbano. Hanno ridisegnato parchi, giardini, piazze e spazi pubblici in modo significativo. Questa pratica è fondamentale per noi perché dimostra che non si tratta solo di teorizzare, ma di creare un impatto reale e tangibile sulla nostra realtà. Questo è ciò che consideriamo essenziale.

Azzurra - Credo che sia fondamentale comprendere come gli spazi pubblici possano essere progettati per accogliere vite diverse e non limitarsi a un uso monofunzionale. È essenziale che ognun*, partendo dalla propria identità, trovi il proprio posto. Dobbiamo affrontare la questione del progetto degli spazi pubblici in modo più consapevole in futuro. 

Inoltre, stiamo conducendo ricerche sull’abitare, considerando che le nostre famiglie sono sempre più piccole e isolate. Stiamo esplorando l’idea di abitare collettivo e collaborativo, per alleggerire il carico di lavoro di cura sulle donne. 

Sarebbe interessante sviluppare progetti di co-housing che rispondano a esigenze specifiche e sperimentare concretamente queste soluzioni.
Le sfide sono soprattutto di natura economica e riguardano l’accessibilità di queste esperienze. Ad esempio, a Torino è stato inaugurato da poco un co-housing per anziani, ma con un costo di che varia dai 2.500 ai 4.500 euro al mese, il che lo rende inaccessibile per molte persone. Abbiamo visitato esperienze simili a Vienna e Barcellona, dove la forte cultura cooperativa gioca un ruolo chiave. Lì, le cooperative gestiscono i progetti di abitazione a vari livelli, coinvolgendo architett*, abitanti e soggetti finanziatori. Un aspetto interessante è l’uso di terreni pubblici, che consente costi inferiori rispetto ai terreni privati. 

La vera sfida rimane rendere questi progetti accessibili, affinché non diventino opportunità solo per i più abbienti. La situazione è complessa. C’è una mancanza di investimenti pubblici in questo settore, e di fatto non fa parte della nostra cultura. Anche le case popolari nascono con molte limitazioni e non si vedono esperimenti simili. 
Al contrario, Barcellona rappresenta un modello positivo: lì, quando il pubblico crede in un progetto, come nel caso del co-housing, si può ottenere un ottimo risultato, grazie anche alla disponibilità di terreni.
Per questo è importante anche il lavoro divulgativo. Per alimentare il fatto che la realtà possa cambiare, no? Quindi si cercano gli strumenti per farlo.

Prima di concludere, mi piacerebbe sapere se c’è un progetto concreto che sognate di realizzare. Immaginate un contesto ideale in cui non dovete cercare fondi o opportunità, ma ci sono già persone pronte ad ascoltarvi e a collaborare. Quale sarebbe questo progetto e dove lo vedreste realizzarsi?

Azzurra - Probabilmente ideale, perché invece la nostra vita si dipana tra un bando e l’altro.

Florencia - Vorrei lavorare su un progetto di abitare, anche se non ci andrei a vivere. Mi piacerebbe ideare e realizzare un progetto di co-housing con una prospettiva femminista. Sarebbe un obiettivo ambizioso, considerando che in Italia ci sono davvero poche opportunità per realizzare progetti simili.

La dimensione di questo progetto, quante persone o famiglie può contenere nella vostra idea?

Azzurra - Ci sono molti modelli abitativi, ma quello che abbiamo visto a Barcellona, La Borda, ci è piaciuto moltissimo. È composto da 28 nuclei con diversi spazi condivisi, come una cucina comune, pur avendo ognuno anche la propria, e aree per la lavanderia e le assemblee. Ci sono tre impegni collettivi: un turno di pulizia degli spazi comuni, la partecipazione alle assemblee ogni due settimane e l’adesione a una commissione, che può riguardare la cultura o la comunicazione o altro. 

Abbiamo apprezzato molto il bilanciamento tra vita individuale e collettiva, 

con appartamenti di diverse dimensioni che possono essere adattati alle esigenze delle famiglie, consentendo di guadagnare o perdere stanze a seconda delle necessità.

Florencia - Mi piace molto il suo aspetto democratico e regolato, tutto è molto equo: cedi una stanza e paghi meno, poiché nella cooperazione abitativa si contribuisce in base ai metri quadrati occupati. Ci sono pro e contro nel vivere in spazi più grandi o più piccoli, e nella scelta tra uso pubblico e privato degli spazi. 
Trovo che sia una dimensione interessante, poiché si mantiene l’importanza dello spazio intimo, dove ognuno può ritirarsi senza dover necessariamente interagire, ma si crea anche un senso di grande famiglia. Non diventa un onere o una responsabilità, ma piuttosto qualcosa di semplice e naturale. Per esempio, se dobbiamo entrambi portare i bambini a scuola, può farlo un* e liberare l’altr* dell’impegno. Piccole cose, come chiedere a un* vicin* di aprire la porta a un corriere o di accudire un animale domestico quando si va in vacanza, che in un condominio normale non accadono. La situazione attuale di isolamento è urgente. 

Anche se abbiamo una rete di amic*, non abitando vicini l’assistenza reciproca è difficile. In una comunità coesa, sarebbe tutto più facile, come portarti i farmaci se sei ammalat* o condividere un pasto cucinato. Questo aspetto è davvero bellissimo per me.

Vorremmo chiedervi alcune raccomandazioni - film, libri, riviste, serie TV, podcast che vorreste condividere e suggerire.

Florencia - Attualmente, sto ascoltando un podcast molto interessante che si intitola Il cuore scoperto (Le coeur sur la table). Si tratta della traduzione di un podcast francese che esplora l’amore da una prospettiva femminista. È interessante perché offre spunti su come vivere le relazioni in modo diverso, senza rimanere intrappolati in strutture gerarchiche o tradizionali che impongono etichette e limiti ai rapporti.

Azzurra - Fammi pensare. Una serie che mi ha colpito è Ni una mas. Approfondisce molto i personaggi, evitando di fermarsi agli stereotipi. Affronta in modo interessante il tema della violenza di genere tra le ragazze adolescenti, presentandolo in una forma non scontata e coinvolgente. 

Poi consiglio moltissimo il film documentario Normal di Adele Tulli che affronta il tema di cosa sia la normalità di genere, quali comportamenti riproducono, che ne siamo consapevoli o meno, ciò che la società ritiene normale per il genere che ti è stato assegnato alla nascita.

Florencia -  Un libro che consiglio a chiunque è Nothing Bad Happens to Good Girls di Esther Madriz. È un’opera straordinaria che tratta del victim blaming e di come la paura controlli i corpi delle donne, esplorando in particolare il concetto di vittima. 
Con un tocco ironico, il libro illustra come i corpi femminili siano disciplinati. È davvero molto bello, anche se purtroppo è disponibile solo in inglese, non è mai stato pubblicato in Italia.

Azzurra -  Tra i libri fondamentali che hanno riacceso il dibattito pubblico, cito Invisibili di Caroline Criado Perez e Feminist City di Leslie Kern. Il primo affronta la questione dei dati, mostrando come il nostro mondo ignori le donne, supportato da esempi concreti. Un esempio alla portata di tutti è la progettazione degli oggetti, come i telefoni, pensati per mani di dimensioni maschili, il che implica che le esigenze dei corpi femminili vengano trascurate. Questo libro ha avuto una grande diffusione e ha contribuito a rinnovare il dibattito su questi argomenti. 
Anche Feminist City si concentra sull’urbanistica femminista ed è in poco tempo diventato un riferimento imprescindibile per trattare questi argomenti ma ci sono molti altri testi importanti da considerare. Non ultimo consigliamo anche, Urbanismo feminista di Collectiu Punt 6, un collettivo femminista catalano che da molti anni lavora a cavallo tra sociologia e urbanistica con progetti teorici e pratici soprattutto in Catalunia ma anche nel resto della Spagna. Loro sono per noi un riferimento importante a cui guardiamo con attenzione e gratitudine.


Case studies suggested by Florencia and Azzurra.

CIUTAT JUGABLE

EJES VERDES Y SUPERMANZANAS


[1] Verso un atlante di genere. Prospettive femministe per costruire città sicure” è un progetto coordinato del Comune di Bologna, in collaborazione con Period Think Tank APS, Sex and the City, Città metropolitana, Casa delle Donne per non subire violenza e SOS donna, co-finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. L’obiettivo è indagare i bisogni legati alla vita quotidiana, con particolare riferimento alla tematica della sicurezza (e dell’insicurezza), interrogando i/le partecipanti riguardo ai luoghi più problematici della città. Il questionario viene distribuito anche a coloro che accedono ai servizi dedicati alle donne con vulnerabilità.
Tramite questa raccolta dati sarà possibile contribuire alla costruzione di mappature di genere della città, utili a supportare la programmazione delle politiche in un’ottica di genere e alla formulazione di proposte concrete per prevenire fenomeni di discriminazione e violenza di genere, in particolare per donne e soggetti con fragilità e maggiormente a rischio di esclusione sociale.